Come non ricordare gli incontri a convivio, promossi dal giornalista di San Polo di Piave, Rolando Anzanello, per far conoscere, in tempi non sospetti, i vini del Piave e i prodotti tipici ?
La strada ci conduceva spesso alla Trattoria da Metino, a Tempio di Ormelle. dove quel fantastico istrione proponeva con la sua famiglia una cucina tradizionale, che utilizzava a piene mani i prodotti locali.
Dal web, tanto per fare un esempio :Una piacevole scoperta questa trattoria di campagna dall'aria volutamente retró anche se forse un po' troppo buia nella sala ristorante. Ma a questo non ci fai poi molto caso perché vieni subito rapito dai sapori di piatti eccellenti, quasi dimenticati (lumache, carne lessa con salsine fatte in casa, crostini con petto d'oca, pasticcio di crespelle con pomodoro e formaggio). Di tutto quello che abbiamo assaggiato non c'era nulla che non fosse fatto magistralmente. La signora che ci ha piacevolmente accompagnato durante la cena raccontandoci della vicina Chiesa Templare, delle tradizioni e della storia del paese ha condito la nostra cena dando quel valore aggiunto che fa la differenza. Prezzi onestissimi. ".
Ci siamo ritornati, dopo tanti anni, con l'idea fissa di organizzare un incontro per ricordare gl
domenica 25 gennaio 2015
La Chiesa dei Templari a Ormelle nei Percorsi della Fede
Il Cenacolo Terre del Piave dell'Associazione l'Altratavola partecipa al progetto Comunicare per Esistere 2015, nell'area de I Pertcorsi della Fede ed Eurovinum, Il Paesaggio della vite e del vino.
Nell'area dei Percorsi della Fede una tappa fondamentale sarà a Tempio di Ormelle, per visitarela Chiesa dei Templari.
Nell'area dei Percorsi della Fede una tappa fondamentale sarà a Tempio di Ormelle, per visitarela Chiesa dei Templari.
Chiesa dei Templari
Costruita nel XII secolo (la prima citazione è del 1178), essa era parte di un complesso più vasto detto Masón (da Mansionis Templi) che costituiva un luogo di sosta per i pellegrini diretti in Terra Santa. La scelta del luogo non fu casuale: Tempio si trova lungo la via Opitergium-Tridentum e a breve distanza dalla via Postumia, due assi stradali romani ancora utilizzati nel medioevo.
Quando, nel 1312, l'ordine dei Templari venne soppresso, il complesso passò ai Giovanniti (più noti come Cavalieri di Malta). Sotto la loro gestione, la Masón si evolse da ospizio ad azienda agricola, costituita da un'estesa proprietà terriera comprendente anche case e mulini. È in questo periodo che il complesso cambia intitolazione: anticamente detto mansionis Sanctae Marie de Templo de Campanea), dal 1777 risulta intitolato a san Giovanni Battista.
La cura delle anime del paese era affidata a un sacerdote scelto dai Templari e successivamente approvato dal vescovo di Ceneda; a partire dal 1684 esso risulta parroco.
Con l'arrivo di Napoleone, nel 1797, San Giovanni del Tempio viene confiscato ai Cavalieri, mentre la giurisdizione ecclesiastica veniva assunta completamente dal vescovo di Ceneda. La Masón, messa all'asta,pervenne nel 1810 all'opitergino Gasparro Moro che fece demolire tutti gli edifici risparmiando solo la chiesa.
Pur avendo subito varie ricostruzioni e rimaneggiamenti (XIV secolo, 1628, inizio Ottocento, 1903, 1923) la chiesa conserva ancora il suo originale impianto romanico.
L'accesso, sulla facciata rivolta ad ovest, è anticipato da un portico che si sviluppa anche sul lato sud. È più tardo della chiesa e, anzi, nel 1723-1731 fu ampliato verso est. Presenta un interessante ciclo di affreschi, realizzati in tre fasi successive dal XII-XIII secolo al XVI secolo.
Sul lato nord si notano ancora le tracce della porta che immetteva al limitrofo cimitero.
Gli interni, costituiti da un'unica navata, hanno linee tipicamente romaniche, sobrie e severe. Il presbiterio era costituito da tre absidiole; l'attuale abside centrale è del 1923, mentre le due più piccole che la affiancano sono del 1955.
Il campanile, per quanto antico, risale probabilmente a un'epoca successiva rispetto alla chiesa. Nel Settecento era stato intonacato a marmorino e cocciopesto, ma negli anni 1960 gli è stato restituito l'aspetto originale con mattoni facciavista.
Un cenno merita la canonica cinque-secentesco che, in precedenza, costituiva la residenza dell'agente o del procuratore dei Cavalieri.
Caffè Toraldo - Filosofia
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Il vero caffè napoletano
I Napoletani, sicuramente hanno il primato per il largo consumo che fanno di caffè e per i diversi modi in cui lo preparano. La " tazzulella 'e cafè " fa parte delle irrinunciabili abitudini del napoletano: è la pausa di lavoro, il complemento del pranzo, il risveglio del mattino... la prima cosa che si offre ad un ospite e per quante sono le persone che lo amano, tanti sono i modi di prepararlo (oltre a quello tradizianale) e di gustarlo, e di questo gran numero, Vi proponiamo alcuni tra i piu diffusi. |
Per fare un vero caffè napoletano, si deve avere "la macchinetta napoletana"; è solo così infatti, che il caffè mantiene tutto il suo aroma.
Una volta aperta e riempito il filtro, avendo cura di non inserire troppa polvere, appiattire il tutto con un cucchiaino, e con la punta di qust' ultimo, praticare alcuni piccoli solchi nella miscela.
Riavvitare quindi, il coperchio e riempire d'acqua la parte della caffettiera priva di beccuccio, fino a circa mezzo centimetro dal forellino di sfogo, e reinserire il gruppo filtrante.
Inserire quindi, la parte dotata di beccuccio. La caffettiera cosi composta, è pronta per essere messa sul fuoco,(appoggiandovi la parte senza beccuccio). L'uscita del vapore dal forellino, segnala l'ebollizione dell'acqua; a questo punto togliere la caffettiera dal fuoco e capovolgerla, tenedola saldamente per entrambe i manici.
Durante l'attesa, sarà vostra cura preparare il cosiddetto "coppetiello" che altro non è che un foglietto di carta, tradizionalemente di giornale, che bagnato e plasmato a forma di cono, sarà inserito sul beccuccio non appena la caffettiera sarà stata girata. La sua funzione non è relativa, anzi, serve a imprigionare l'aroma e il profumo del caffè all'interno della "macchinetta". A questo punto, non resta che attendere 2-3 minuti per il filtraggio del caffè e qundi servire.
Caffè al cioccolato
Grattugiate una tavoletta di cioccolato fondente di circa 100 gr. e fatelo fondere leggermente su fiamma bassa. Preparate mezzo litro di caffè forte e non zuccherato e, quando è ancora bollente, aggiungete la cioccolata e mescolate per farla sciogliere completamente.
Caffè del cardinale
Versate il caffé bollente nelle tazzine, copritelo con panna montata e una spolverata di cacao in polvere, accompagnato da qualche biscottino.
Caffè in crema
Mescolate un bicchiere di caffé forte con un bicchiere di latte e una bustina di vanillina. Lavorate tre tuorli con tre cucchiai di zucchero e fate cuocere a bagnomaria versandovi piano piano il latte e caffé. Fate cuocere fino a che la crema non sara abbastanza densa. Quindi servitela immediatamente, calda accompagnata da biscottini secchi. Questa è una simpatica alternativa per I'ora del thé dedicata agli amanti del caffé.
Caffè all'anice
Versare il caffè bollente nei " bicchierini" ed aggiungere un buon cucchiaio di Anice in ogni bicchierino e zuccherare a piacere.
sabato 24 gennaio 2015
La storia del caffè napoletano
STORIA DEL CAFFE' NAPOLETANO
Per essere i primi non è necessario arrivare per primi.
Il caffè che si beve a Napoli è notoriamente il più buono del mondo, eppure qui il caffè è arrivato assai più tardi che altrove.
E' una vecchia storia, anzi è più semplicemente la Storia; che, com'è noto, tende a ripetersi. La pasta, per dirne un('altr)a, arrivò a Napoli dalla Sicilia, dov'era giunta a sua volta dal mondo arabo. Ci arrivò con grande ritardo, ma poi recuperò rapidamente lo svantaggio.
Lo stesso dicasi per il babà. A inventarlo fu un polacco: Stanislaw Leczinsky, re di Lorena. A Napoli lo portarono parecchio tempo dopo i Monsù, i cuochi francesi. Ma solo dopo essere passato per le mani dei pasticcieri napoletani, il babà diventò il dolce acclamatissimo che conosciamo.
Non è forse questo, del resto, il segreto della creatività? Non tanto, o non solo, inventare qualcosa ab initio: quanto modificare, ridisegnare, rielaborare quel che già esiste.
E' precisamente questo che i napoletani hanno fatto con il caffè.
Il momento esatto dell'arrivo del caffè a Napoli non è determinabile con precisione.
Le strade individuate con maggiore chiarezza sono due. Percorrendo a ritroso la prima, giungiamo al 1614, e al musicologo romano Pietro Della Valle. Abbandonata la Città Eterna per una delusione amorosa, Della Valle si era stabilito a Napoli. Da qui la sua indole avventurosa lo indusse a partire alla volta di un luogo ancor più eterno: la Terra Santa. Laggiù si innamorò di una splendida donna, e vi rimase ben dodici anni. Ma non aveva dimenticato gli amici che si era fatto a Napoli: con uno di essi, il medico, grecista, arabista e poeta Mario Schipano, era rimasto in contatto epistolare.
Lo Schipano di tanto intanto radunava i comuni amici, e leggeva loro le lettere che contenevano le mirabolanti ed esotiche avventure di Pietro. In una delle sue 56 lettere, Della Valle racconta di una specialissima bevanda detta "kahve", che i mussulmani consumavano al termine delle abbuffate di rito che seguivano l'ancor più rituale digiuno del Ramadan, che durava dall'alba al tramonto. Calata la notte, ci si scatenava a mangiare, e a bere questo kahve: un liquido profumato che veniva fuori da bricchi posti sul fuoco, e versato in piccole scodelle di porcellana, continuamente svuotate (e riempite) durante le conversazioni che seguivano il pasto.
Nelle sue lettere Della Valle riporta anche alcuni metodi di preparazione del kahve: il caffè (perché è di questo che si tratta), e di come gli arabi preferiscano berlo amaro.
Può anche darsi che, come prometteva in un'altra lettera, Pietro Della Valle abbia poi realmente portato a Napoli questo mitico kahve-caffè; ma di ciò non vi è certezza.
L'altra via per la quale il caffè potrebbe essere arrivato a Napoli è molto più breve: 50 km. scarsi. La distanza che separa Salerno da Napoli.
A Salerno il caffè sarebbe giunto clandestinamente, sotto mentite spoglie; travestito da medicina. Ecco perché Salerno: la città campana era la sede della celebre Schola Medica Salernitana. Il patrimonio di quest'accademia di sapienti era affidato alla diffusione orale di di 382 aforismi in latino, che furono (finalmente!) manoscritti nel primo decennio del XIV secolo.
Nacque così il "Flos medicinae Scholae Salerni". Verso la metà del secolo successivo, gli aforismi erano diventati 2130. Due di essi citano espressamente il caffè, che "concilia e impedisce il sonno, allevia il mal di testa, giova allo stomaco, aumenta la diuresi e agevola le mestruazioni".
Ci troviamo verso la metà del 1400: dunque un secolo e mezzo prima che Pietro Della Valle citasse il caffè nelle sue lettere.
E' possibile che le quartine sul caffè del "Flos Medicinae" siano apocrife, in quanto inserite in seguito: ma potrebbero anche essere autentiche.
Il caffè potrebbe infatti essere stato già presente in Campania verso il 1450, quando a Napoli regnavano gli Aragonesi. Alfonso D'Aragona era allora a capo di un vasto impero formato dall'Aragona, la Catalogna, Valencia, Maiorca, la Sardegna e la Sicilia. Le navi di Alfonso solcavano il mar Mediterraneo, e da qui raggiungevano i porti del Levante. Da cui riportavano tutti i prodotti orientali all'epoca commerciabili.
Non a caso, Salerno era all'epoca sede di un'importante fiera commerciale.
Ad ogni modo, qualunque sia la strada per la quale vi è giunto, il caffè si è diffuso a Napoli assai più tardi che a Venezia, Firenze e Roma. Fino all'inizio del 700, a Napoli il caffè era sulla bocca di tutti, ma non dentro: per dire che di questa immaginifica bevanda capitava che si parlasse, ma era difficile trovare qualcuno che se la fosse bevuta.
Lo conferma il fatto che nel trattato di cucina "Lo scalco alla moderna" pubblicato da Antonio Latini a Napoli nel 1694, il caffè non compare, se non come rimedio per i convalescenti.
In favore del caffè spezzarono più di una lancia Giovan Francesco Gemelli Careri nel suo "Giro intorno al mondo" (1699), e il religioso Pompeo Sarnelli (1716). Ma invano: per l'intero settecento, a bere caffè a Napoli furono solo pochi aristocratici terribilmente snob.
L'ottocento era già in vista in fondo al rettilineo del secolo: era ormai il 1794, quando il grande gastronomo napoletano Vincenzo Corrado, autore del ricettario "Il cuoco galante", si mise in testa di imporre il caffè all'attenzione generale. Sembrandogli (a ragione) assurdo che una cosa così buona fosse così poco nota al grande pubblico.
Con felice intuito da pubblicitario (e da uomo marketing) il Corrado abbinò il caffè al cioccolato, nel trattatello "La manovra della cioccolata e del caffè".
Per renderlo più appetitoso, vi inserì una "Cantata in onore della cioccolata" dell'abate Pietro Metastasio, e -dulcis in fundo! -, una "Canzonetta in difesa del caffè" opera di don Nicola Valletta. Al quale dedicò la sua "Manovra".
Perché mai la dedicò al Valletta, invece che al Metastasio, poeta che ancor oggi tutti conosciamo?
Perché a quei tempi questo Nicola Valletta, che oggi ai più non dice perfettamente niente, era una vera e propria icona della napoletanità. Un maitre-a-penser, il sommo specialista di una materia che a Napoli ha sempre avuto largo seguito: la jettatura.
E'esattamente questo, il motivo per il quale il Corrado dedica al Valletta la sua operina, e gli commissiona un componimento pro-caffè; per sfatare la pericolosa diceria che stava prendendo piede a Napoli, secondo la quale il caffè portava jella.
Come si era diffusa quest'infamante calunnia? Forse perché il caffè è nero, e perciò richiama il lutto; o perché è amaro, come i guai. O magari per una ragione più concreta: il suo gusto amarostico ne faceva il nascondiglio ideale per fatture, filtri magici, e porcherie varie.
La "Manovra" del Corrado era dunque una manovra salvacaffè: se il maggior esperto di jettatura dice che il caffè porta bene, gli si può (gli si deve!) credere.
L'impresa, manco a dirlo, riuscì così bene da trasformare in pochi anni i caffè da untore del malocchio ad antidoto contro di esso: da portaseccia a portafortuna.
Ne fa fede un episodio dell'epoca: un marchese, dopo aver scoperto che un suo vicino di tavola di qualche giorno prima aveva fama di jettatore, si lamentò con gli amici di non essere stato avvertito in tempo: in tal caso - sosteneva - gli avrebbe gettato in faccia il proprio caffè, per spezzare il malefico raggio del suo sguardo.
Ripulita così la propria immagine, il caffè si sparse per tutta la città. Ai primi dell'Ottocento fece la sua comparsa il Caffettiere ambulante, che percorreva la città in lungo e in largo munito di due recipienti, uno pieno di caffè e l'altro di latte, e di un cesto con tazze e zucchero. All'alba la sua voce rompeva il silenzio della notte appena trascorsa: "'O latte te l'aggio fatto roce roce. 'O caffettiere cammina Nicò». Traduzione: "Il latte te l'ho preparato ben zuccherato. Il caffettiere cammina, Nicola!"
La frase era la stessa tutti i giorni dell'anno, salvo che per l'ultima parola: il nome proprio posto alla fine. Che cambiava secondo il calendario liturgico. Il caffettiere (una grande idea!) forniva così un servizio in più ai suoi clienti (e anche ai passanti), per i quali questo "ricordo" era spesso importante per supplire a una dimenticanza, e per evitare una brutta figura con il parente (o l'amico): a Napoli a ricevere gli auguri il giorno del proprio onomastico la gente ci teneva, e ci tiene ancora.
Oggi a Napoli il caffè non è più legato alla fortuna o alla sfortuna: è semplicemente il simbolo dall'amicizia, e dell'attenzione per se stessi e per il proprio benessere. Spezzare il ritmo convulso di certe nostre giornate andandoci a prendere un caffè (in compagnia, ma anche da soli) ci aiuta a non prenderci un esaurimento.
Ma basta leggere. E' il momento di prendersi una pausa. Dicit'a verità: a furia di sentirne parlare, non vi è venuta voglia di un buon caffè?
Il caffè che si beve a Napoli è notoriamente il più buono del mondo, eppure qui il caffè è arrivato assai più tardi che altrove.
E' una vecchia storia, anzi è più semplicemente la Storia; che, com'è noto, tende a ripetersi. La pasta, per dirne un('altr)a, arrivò a Napoli dalla Sicilia, dov'era giunta a sua volta dal mondo arabo. Ci arrivò con grande ritardo, ma poi recuperò rapidamente lo svantaggio.
Lo stesso dicasi per il babà. A inventarlo fu un polacco: Stanislaw Leczinsky, re di Lorena. A Napoli lo portarono parecchio tempo dopo i Monsù, i cuochi francesi. Ma solo dopo essere passato per le mani dei pasticcieri napoletani, il babà diventò il dolce acclamatissimo che conosciamo.
Non è forse questo, del resto, il segreto della creatività? Non tanto, o non solo, inventare qualcosa ab initio: quanto modificare, ridisegnare, rielaborare quel che già esiste.
E' precisamente questo che i napoletani hanno fatto con il caffè.
Il momento esatto dell'arrivo del caffè a Napoli non è determinabile con precisione.
Le strade individuate con maggiore chiarezza sono due. Percorrendo a ritroso la prima, giungiamo al 1614, e al musicologo romano Pietro Della Valle. Abbandonata la Città Eterna per una delusione amorosa, Della Valle si era stabilito a Napoli. Da qui la sua indole avventurosa lo indusse a partire alla volta di un luogo ancor più eterno: la Terra Santa. Laggiù si innamorò di una splendida donna, e vi rimase ben dodici anni. Ma non aveva dimenticato gli amici che si era fatto a Napoli: con uno di essi, il medico, grecista, arabista e poeta Mario Schipano, era rimasto in contatto epistolare.
Lo Schipano di tanto intanto radunava i comuni amici, e leggeva loro le lettere che contenevano le mirabolanti ed esotiche avventure di Pietro. In una delle sue 56 lettere, Della Valle racconta di una specialissima bevanda detta "kahve", che i mussulmani consumavano al termine delle abbuffate di rito che seguivano l'ancor più rituale digiuno del Ramadan, che durava dall'alba al tramonto. Calata la notte, ci si scatenava a mangiare, e a bere questo kahve: un liquido profumato che veniva fuori da bricchi posti sul fuoco, e versato in piccole scodelle di porcellana, continuamente svuotate (e riempite) durante le conversazioni che seguivano il pasto.
Nelle sue lettere Della Valle riporta anche alcuni metodi di preparazione del kahve: il caffè (perché è di questo che si tratta), e di come gli arabi preferiscano berlo amaro.
Può anche darsi che, come prometteva in un'altra lettera, Pietro Della Valle abbia poi realmente portato a Napoli questo mitico kahve-caffè; ma di ciò non vi è certezza.
L'altra via per la quale il caffè potrebbe essere arrivato a Napoli è molto più breve: 50 km. scarsi. La distanza che separa Salerno da Napoli.
A Salerno il caffè sarebbe giunto clandestinamente, sotto mentite spoglie; travestito da medicina. Ecco perché Salerno: la città campana era la sede della celebre Schola Medica Salernitana. Il patrimonio di quest'accademia di sapienti era affidato alla diffusione orale di di 382 aforismi in latino, che furono (finalmente!) manoscritti nel primo decennio del XIV secolo.
Nacque così il "Flos medicinae Scholae Salerni". Verso la metà del secolo successivo, gli aforismi erano diventati 2130. Due di essi citano espressamente il caffè, che "concilia e impedisce il sonno, allevia il mal di testa, giova allo stomaco, aumenta la diuresi e agevola le mestruazioni".
Ci troviamo verso la metà del 1400: dunque un secolo e mezzo prima che Pietro Della Valle citasse il caffè nelle sue lettere.
E' possibile che le quartine sul caffè del "Flos Medicinae" siano apocrife, in quanto inserite in seguito: ma potrebbero anche essere autentiche.
Il caffè potrebbe infatti essere stato già presente in Campania verso il 1450, quando a Napoli regnavano gli Aragonesi. Alfonso D'Aragona era allora a capo di un vasto impero formato dall'Aragona, la Catalogna, Valencia, Maiorca, la Sardegna e la Sicilia. Le navi di Alfonso solcavano il mar Mediterraneo, e da qui raggiungevano i porti del Levante. Da cui riportavano tutti i prodotti orientali all'epoca commerciabili.
Non a caso, Salerno era all'epoca sede di un'importante fiera commerciale.
Ad ogni modo, qualunque sia la strada per la quale vi è giunto, il caffè si è diffuso a Napoli assai più tardi che a Venezia, Firenze e Roma. Fino all'inizio del 700, a Napoli il caffè era sulla bocca di tutti, ma non dentro: per dire che di questa immaginifica bevanda capitava che si parlasse, ma era difficile trovare qualcuno che se la fosse bevuta.
Lo conferma il fatto che nel trattato di cucina "Lo scalco alla moderna" pubblicato da Antonio Latini a Napoli nel 1694, il caffè non compare, se non come rimedio per i convalescenti.
In favore del caffè spezzarono più di una lancia Giovan Francesco Gemelli Careri nel suo "Giro intorno al mondo" (1699), e il religioso Pompeo Sarnelli (1716). Ma invano: per l'intero settecento, a bere caffè a Napoli furono solo pochi aristocratici terribilmente snob.
L'ottocento era già in vista in fondo al rettilineo del secolo: era ormai il 1794, quando il grande gastronomo napoletano Vincenzo Corrado, autore del ricettario "Il cuoco galante", si mise in testa di imporre il caffè all'attenzione generale. Sembrandogli (a ragione) assurdo che una cosa così buona fosse così poco nota al grande pubblico.
Con felice intuito da pubblicitario (e da uomo marketing) il Corrado abbinò il caffè al cioccolato, nel trattatello "La manovra della cioccolata e del caffè".
Per renderlo più appetitoso, vi inserì una "Cantata in onore della cioccolata" dell'abate Pietro Metastasio, e -dulcis in fundo! -, una "Canzonetta in difesa del caffè" opera di don Nicola Valletta. Al quale dedicò la sua "Manovra".
Perché mai la dedicò al Valletta, invece che al Metastasio, poeta che ancor oggi tutti conosciamo?
Perché a quei tempi questo Nicola Valletta, che oggi ai più non dice perfettamente niente, era una vera e propria icona della napoletanità. Un maitre-a-penser, il sommo specialista di una materia che a Napoli ha sempre avuto largo seguito: la jettatura.
E'esattamente questo, il motivo per il quale il Corrado dedica al Valletta la sua operina, e gli commissiona un componimento pro-caffè; per sfatare la pericolosa diceria che stava prendendo piede a Napoli, secondo la quale il caffè portava jella.
Come si era diffusa quest'infamante calunnia? Forse perché il caffè è nero, e perciò richiama il lutto; o perché è amaro, come i guai. O magari per una ragione più concreta: il suo gusto amarostico ne faceva il nascondiglio ideale per fatture, filtri magici, e porcherie varie.
La "Manovra" del Corrado era dunque una manovra salvacaffè: se il maggior esperto di jettatura dice che il caffè porta bene, gli si può (gli si deve!) credere.
L'impresa, manco a dirlo, riuscì così bene da trasformare in pochi anni i caffè da untore del malocchio ad antidoto contro di esso: da portaseccia a portafortuna.
Ne fa fede un episodio dell'epoca: un marchese, dopo aver scoperto che un suo vicino di tavola di qualche giorno prima aveva fama di jettatore, si lamentò con gli amici di non essere stato avvertito in tempo: in tal caso - sosteneva - gli avrebbe gettato in faccia il proprio caffè, per spezzare il malefico raggio del suo sguardo.
Ripulita così la propria immagine, il caffè si sparse per tutta la città. Ai primi dell'Ottocento fece la sua comparsa il Caffettiere ambulante, che percorreva la città in lungo e in largo munito di due recipienti, uno pieno di caffè e l'altro di latte, e di un cesto con tazze e zucchero. All'alba la sua voce rompeva il silenzio della notte appena trascorsa: "'O latte te l'aggio fatto roce roce. 'O caffettiere cammina Nicò». Traduzione: "Il latte te l'ho preparato ben zuccherato. Il caffettiere cammina, Nicola!"
La frase era la stessa tutti i giorni dell'anno, salvo che per l'ultima parola: il nome proprio posto alla fine. Che cambiava secondo il calendario liturgico. Il caffettiere (una grande idea!) forniva così un servizio in più ai suoi clienti (e anche ai passanti), per i quali questo "ricordo" era spesso importante per supplire a una dimenticanza, e per evitare una brutta figura con il parente (o l'amico): a Napoli a ricevere gli auguri il giorno del proprio onomastico la gente ci teneva, e ci tiene ancora.
Oggi a Napoli il caffè non è più legato alla fortuna o alla sfortuna: è semplicemente il simbolo dall'amicizia, e dell'attenzione per se stessi e per il proprio benessere. Spezzare il ritmo convulso di certe nostre giornate andandoci a prendere un caffè (in compagnia, ma anche da soli) ci aiuta a non prenderci un esaurimento.
Ma basta leggere. E' il momento di prendersi una pausa. Dicit'a verità: a furia di sentirne parlare, non vi è venuta voglia di un buon caffè?
Il Caffè
IL CAFFE’
Ecco
il caffè, signore, caffè in Arabia nato,
E dalle carovane in Ispaan portato.
L'arabo certamente sempre è il caffè migliore.
E dalle carovane in Ispaan portato.
L'arabo certamente sempre è il caffè migliore.
C.
Goldoni: La Sposa Persiana)
La
drupa del caffè, simile per colore e dimensioni ad una ciliegia,
nasce da un albero sempreverde. Contrariamente a quello che afferma
Goldoni, sembra che la pianta del caffè derivi dall’Etiopia, dove
nasce spontaneo tra i 1000 e i 1300 m.s.l.m. e che di qui fosse
trasportato in Arabia e successivamente nelle Indie nel Medio Oriente
e finalmente in Occidente, a Venezia.
Già
a partire dal 1454 nell'odierno Yemen era consuetudine sorseggiare il
caffè ed il governo ne approvò il consumo lodando le sue qualità;
da qui partì una vera e propria diffusione che toccò le coste del
Mar Rosso, La Mecca e Medina, fino a d arrivare al Cairo incontrando
un ampio favore dei popoli arabi, grazie anche dal divieto del Corano
di bere il vino, che fu immediatamente sostituito proprio con il
caffè, che era anche chiamato "Vino dell'Islam".
La religione islamica si diffondeva rapidamente ed altrettanto rapidamente portava nei Paesi raggiunti e conquistati il fascino di questa nuova bevanda scura, il caffè appunto, che giunse a Costantinopoli nel 1517 circa, dopo la conquista dell'Egitto ad opera di Selim I°. Da allora si prese l'abitudine di berlo in tutto l'impero turco, mentre tale uso era già ben radicato a Damasco (dove c’erano due locali molto noti: il “Caffè delle Rose” ed il “Caffè della via della Salvezza”) e ad Aleppo,
Anche a Costantinopoli nacque un gran numero di Caffè, alcuni estremamente sfarzosi, che servivano sia come luogo d'incontro e di svago sia come luogo di dibattito politico.
La religione islamica si diffondeva rapidamente ed altrettanto rapidamente portava nei Paesi raggiunti e conquistati il fascino di questa nuova bevanda scura, il caffè appunto, che giunse a Costantinopoli nel 1517 circa, dopo la conquista dell'Egitto ad opera di Selim I°. Da allora si prese l'abitudine di berlo in tutto l'impero turco, mentre tale uso era già ben radicato a Damasco (dove c’erano due locali molto noti: il “Caffè delle Rose” ed il “Caffè della via della Salvezza”) e ad Aleppo,
Anche a Costantinopoli nacque un gran numero di Caffè, alcuni estremamente sfarzosi, che servivano sia come luogo d'incontro e di svago sia come luogo di dibattito politico.
Venezia
fu, a quanto pare, (ma non mancano i sostenitori di Livorno) la prima
città italiana che conobbe l'aroma del caffè, che in breve si
diffuse in tutta la Penisola ed anche di altri Paesi specialmente del
centro-nord Europa.
Oltre ad essere consumato come semplice bevanda, il caffè veniva anche bevuto per sfruttare alcune sue proprietà medicamentose e digestive e per questo motivo il suo prezzo era piuttosto elevato. Nel momento in cui si capì che la diffusione del caffè era tale da poter riempire le casse dello Stato nacquero le prime "Botteghe del Caffè", la più antica esistente in Europa, il Caffè Florian (1720 ), si trova tuttora sotto i portici di Piazza San Marco a Venezia.
Oltre ad essere consumato come semplice bevanda, il caffè veniva anche bevuto per sfruttare alcune sue proprietà medicamentose e digestive e per questo motivo il suo prezzo era piuttosto elevato. Nel momento in cui si capì che la diffusione del caffè era tale da poter riempire le casse dello Stato nacquero le prime "Botteghe del Caffè", la più antica esistente in Europa, il Caffè Florian (1720 ), si trova tuttora sotto i portici di Piazza San Marco a Venezia.
In
Italia il caffè divenne presto dono da offrire in circostanze
particolari, come dono d'amicizia ed amore; era abitudine che i
corteggiatori inviassero alle proprie innamorate vassoi colmi di
caffè e cioccolata.
L'affermarsi
del caffè come nel mondo musulmano, incontrò qualche problema, uno
in particolare è importante da ricordare perché legato alla
religione: alcuni sacerdoti si mostrarono contrari alla diffusione di
questa bevanda e ne proposero la scomunica ritenendola una "bevanda
del diavolo" e fecero pressione su Papa Clemente VIII affinché
ne vietasse l'uso. Il motivo era forse larvatamente politico, in
quanto gli incontri nei caffè favorivano dibattiti, spesso di ordine
politico e quindi poteva essere visto come fonte di sedizione;
nell’800 il caffè venne addirittura chiamato “la bevanda della
libertà”
Ma
ritornando al Pontefice, veramente illuminato, prima d'interdirla
volle provarla di persona e ne rimase colpito in modo talmente
positivo che non solo decise di non mettere il caffè al bando, ma
addirittura lo volle battezzare rendendolo una "bevanda
cristiana".
Varietà
di caffè
Le
specie più usate sono l’Arabica (quasi 80%del mercato) e la
Robusta; la prima più chiara, di sapore più delicato e con meno
caffeina (1,1/1.7%), la seconda, come suggerisce il nome stesso, più
scura, con un sapore più deciso ed un maggior tenore di caffeina
(2/4,5%). Vi sono poi diverse varietà, a seconda del paese
d’origine: ”Moka”, “Giamaica”, “Santos, ”Santo
Domingo”, ”Costarica” ecc.
Il
caffè decaffeinato si ottiene eliminando la caffeina con del vapore
prima della tostatura.
La
bravura del torrefattore sta innanzi tutto nel dosare con abilità le
miscele di questi prodotti, in modo da ottenere esattamente il sapore
e l’aroma desiderato, poi naturalmente nel processo stesso di
torrefazione, che consiste nel cuocere, mediante correnti di gas o
aria calda con temperature fino ai 230°C, i chicchi, che vengono
continuamente agitati in appositi recipienti. La tostatura ha
l’effetto di ridurre la percentuale di acqua e di caffeina e di
fare affiorare sul chicco un olio chiamato “caffeone” che
determina il caratteristico aroma. Perciò queste operazioni di
miscelatura e di torrefazione sono tenute gelosamente segrete da ogni
torrefattore.
Conservazione
del caffè
Il
caffè teme l’umidità e soprattutto l’aria; perciò è bene
usarlo prima possibile una volta aperta la confezione, soprattutto se
si tratta di caffè macinato.
Proprio
per ovviare a questo problema si sta diffondendo l’uso di capsule o
cialde monouso, che permettono di mantenere sotto vuoto il caffè
fino al momento dell’uso.
Metodi
per fare il caffè
Un
tempo il caffè veniva fatto in un semplice recipiente di metallo o
di coccio in cui si metteva il caffè a bollire per poi toglierlo dal
fuoco e aggiungere altro caffè e poi rimettere a bollire per tre
volte.
Un
progresso fu rappresentato, dalla “napoletana” quella di Edoardo
de Filippo in “Questi fantasmi” (che però non è stata inventata
da un napoletano bensì da un cecoslovacco nel 1750, detta la
"caffettiera di Karlsbad" dal nome della città in cui fu
costruita per la prima volta).
La
caffettiera napoletana è composta da due parti separate da un filtro
a cestello. Il cestello viene riempito di caffè tostato scuro e
macinato fine. La parte inferiore della caffettiera viene riempita
d’acqua mentre quella “di servizio” viene posta sopra a
chiusura di tutto. La parte con l’acqua è a contatto con il fuoco
e viene portata a temperatura di ebollizione. Infine la caffettiera
napoletana si toglie dal fuoco e si capovolge velocemente per
permettere all’acqua calda di filtrare nel cestello, attraversando
la polvere di caffè ed estraendone aroma, gusto, profumo per poi
raccogliersi nel contenitore inferiore, con il caffè pronto al
consumo.
Un
successivo progresso nella preparazione, sempre casalinga, del caffè
si ebbe nel 1933 con la caffettiera “Moka Express” brevettata
dall’industriale Bialetti, che sostituì nel dopoguerra tutti gli
altri apparecchi per fare il caffè nelle nostre case. La
macchinetta è semplicissima, composta da soli tre pezzi: la caldaia
inferiore con la valvolina di sicurezza, il filtro in cui si mette la
polvere di caffè e la parte superiore dove si raccoglie la bevanda,
che sale grazie ad un cannello centrale. Si pone sul fuoco ed in
brevissimo tempo l’acqua in ebollizione passerà nella parte
superiore.
Ma
la concezione moderna del caffè è legata alla macchina per caffè
da bar brevettata in Italia nel novembre del 1901 dall’ingegnere
Luigi Bezzera
di Milano. Si tratta di una versione a colonna, monumentale,
destinata a diventare per molto tempo un modello di riferimento
obbligato da parte delle diverse case costruttrici. Anche in
precedenza c’era l’usanza di consumare tale bevanda nei locali
pubblici, ma ciò che distingueva una caffettiera domestica da una
per bar era sostanzialmente il solo fattore dimensionale.
Con questa macchina il caffè
è ottenuto attraverso una speciale tecnica che usa una pressione
molto alta dell'acqua, rendendo possibile una bevanda che è allo
stesso tempo concentrata, corposa e ricca. Questa tecnica di
preparazione mette in evidenza il meglio del caffè stesso, estraendo
il 25% della sostanza dai chicchi macinati contro il 20% del caffè
filtrato.
Il
vantaggio più importante di questo straordinario procedimento sta
nella capacità unica dell'espresso di ottenere l'emulsione degli oli
presenti nel caffè macinato.
Grazie
a questo, la bevanda ci delizia con le sue 3 caratteristiche
inequivocabili: a) la sua crema: vale a dire, la schiuma che
tipicamente raggiunge la sommità di ogni buona tazza di espresso; b)
il suo corpo: l'emulsione degli oli dà al caffè una pienezza di
"corpo" che non può essere ottenuta con altre tecniche di
preparazione; c) il suo aroma: la grande ricchezza dell'aroma è
dovuta alla presenza della crema che evita alle sostanze volatili di
disperdersi nell'aria subito dopo la sua preparazione.
In
più, se paragonato ad altri metodi di preparazione, l'espresso
risulta anche avere una più bassa concentrazione di caffeina grazie
al più breve contatto tra l'acqua e la polvere macinata (dai 20 ai
30 secondi contro i 4-5 minuti per il caffè filtrato) oltre alla
minore quantità d'acqua che viene usata.
Usanze
di altri Paesi
Oltre
che in Italia, il caffè è molto comune in numerosi altri Paesi,
dove viene servito secondo usanze differenti. In Olanda
viene servito su un vassoio su cui sono disposti, per
ciascuna
persona, una piccola caffettiera, un bricchetto di panna, dello zucchero e un bicchiere di acqua. In Grecia e Turchia viene servito per primo il più anziano e rispettato. Poiché le tazzine di caffè piene indicano antipatia verso le persone cui si porgono, vengono riempite solo a metà.
persona, una piccola caffettiera, un bricchetto di panna, dello zucchero e un bicchiere di acqua. In Grecia e Turchia viene servito per primo il più anziano e rispettato. Poiché le tazzine di caffè piene indicano antipatia verso le persone cui si porgono, vengono riempite solo a metà.
In
Francia
il caffè di mattina viene gustato accompagnato da croissant, mentre
nel corso della giornata viene servito demi-tasse (metà tazzina), a
volte con una correzione alcolica.
Generalmente è preparato con la macchinetta filtro.
Generalmente è preparato con la macchinetta filtro.
Marocco:
preparato alla turca, il caffè in questo Paese è denso, forte e
dolce, spesso arricchito con grani di pepe e sale per esaltarne
l'aroma. In India
ai chicchi di caffè torrefatti vengono aggiunti acqua e zucchero
grezzo. Servito principalmente al Sud, è spesso accompagnato da
una serie di snack preparati con ogni sorta di legumi, erbe e spezie.
una serie di snack preparati con ogni sorta di legumi, erbe e spezie.
In
Russia
il caffè (meno frequente del tè) viene spesso bevuto con l'aggiunta
di una buccia di limone. In Finlandia,
secondo una vecchia ricetta si fa così: prepararlo con il metodo
del
bricco con filtro a stantuffo, aggiungere un vecchio pezzo di pelle di pesce per far
depositare il caffè e chiarificarlo. Poi togliere la pelle del pesce e servire il caffè nei boccali, insieme con panna, latte e burro.
Dal Giappone un sistema diverso per l'impiego del caffè: il bagno curativo. Stare per qualche tempo immersi in caffè e succo d'ananas provoca un’ottima sauna rinvigorente. In Germania viene servito con latte condensato o panna in scatola, il caffè è spesso accompagnato dai
famosi dolci tedeschi. In Gran Bretagna si usa soprattutto caffè solubile. Negli Stati Uniti viene servito in tazze riscaldate, con aggiunta di latte o panna, zucchero o dolcificanti. Generalmente viene preparato con la macchinetta a colino.
bricco con filtro a stantuffo, aggiungere un vecchio pezzo di pelle di pesce per far
depositare il caffè e chiarificarlo. Poi togliere la pelle del pesce e servire il caffè nei boccali, insieme con panna, latte e burro.
Dal Giappone un sistema diverso per l'impiego del caffè: il bagno curativo. Stare per qualche tempo immersi in caffè e succo d'ananas provoca un’ottima sauna rinvigorente. In Germania viene servito con latte condensato o panna in scatola, il caffè è spesso accompagnato dai
famosi dolci tedeschi. In Gran Bretagna si usa soprattutto caffè solubile. Negli Stati Uniti viene servito in tazze riscaldate, con aggiunta di latte o panna, zucchero o dolcificanti. Generalmente viene preparato con la macchinetta a colino.
Questi
tuttavia sono metodi tradizionali per il caffè casalingo; nei bar è
ormai universale l’uso della macchina espresso italiana, anche se
il diverso criterio di miscelatura e di torrefazione dà risultati
ben differenti.
Perciò
il vero Espresso all’Italiana si fa solo qui e ben lo sanno i
connazionali che si recano all’estero, i quali appena tornano in
Italia si precipitano al più vicino bar per prendere un caffè…di
quello buono!
Gianluigi
Pagano
Aforismi
sul caffè
Il
caffè è una bevanda che fa dormire quando non la si prende.
Alphonse
Allais
Tutto
passa a questo mondo, salvo il caffè nei cattivi filtri.
Alphonse
Allais, Il
gatto nero, 1881/97
Il
caffè, per essere buono, deve essere nero come la notte, caldo come
l'inferno e dolce come l'amore.
Michail
Bakunin (attribuito)
Si
cambia più facilmente religione che caffè.
Georges
Courteline, La
filosofia di Georges Courteline,
1922
Quando
io morirò, tu portami il caffè, e vedrai che io resuscito come
Lazzaro.
Eduardo
De Filippo,
in Fantasmi
a Roma,
1961
A
riempire una stanza basta una caffettiera sul fuoco.
Erri
De Luca, Tre
cavalli,
2000
Amo
le donne calde e il caffè freddo, perché l'uno e l'altro mi
consentono di guadagnare tempo.
Lucien
Guitry
C'è
qualcosa in comune tra il calore umano e quello del caffè...
L'amarezza, senza dubbio.
Laurent
Houndegla, Regards
croisés
La
scoperta del caffè fu, a suo modo, importante quanto l'invenzione
del telescopio o del microscopio. Il caffè infatti ha
inaspettatamente intensificato e modificato le capacità e la
vivacità del cervello umano.
Heinrich
Eduard Jacob
Io
giudico un ristorante dal suo pane e dal suo caffè.
Burt
Lancaster
Se
noiosa ipocondria t'opprime,/ O troppo intorno a le vezzose membra/
Adipe cresce, de' tuoi labbri onora/ La nettarea bevanda, ove
abbronzato/ Fuma et arde il legume a te d'Aleppo/ Giunto, e da Moca,
che di mille navi/ Popolata mai sempre insuperbisce.
Giuseppe
Parini, Il
giorno,
1763-1801
Il
caffè dev'essere caldo come l'inferno, nero come il diavolo, puro
come un angelo e dolce come l'amore.
Charles-Maurice
di Talleyrand-Périgord (attribuito)
Per
prendere un caffè e tradire la moglie c'è sempre tempo.
Totò (Antonio
De Curtis),
in Sua
eccellenza si fermò a mangiare,
1961
Il
caffè è il balsamo del cuore e dello spirito.
Giuseppe
Verdi
Caffè
vero, verissimo di Levante e profumato col legno di aloè, che
chiunque lo prova, quand'anche fosse l'uomo il più grave, l'uomo il
più plumbeo della terra, bisogna che per necessità si risvegli e
almeno per una mezz'ora diventi uomo ragionevole.
Pietro
Verri
Una
donna che non sa fare il caffè per me può essere solo un’avventura.
Fabio
Volo, Esco
a fare due passi,
2001
Gustare
il caffè- Museo di Pera- Istambul
Gerusalemme: caffè in strada XIX sec.
Vincent
van Gogh, "The Night Café", 1888, Yale University Art
Gallery
Caffé Florian Venezia
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